Saranno famosi? No, saranno poveri. A spiegare che senza riforme strutturali il futuro dei giovani resta incerto, che le scarse prospettive di occupazione e reddito delle nuove generazioni si traducono in uno «spreco di risorse preziose» e che «stiamo mettendo a repentaglio non solo il loro futuro ma quello del Paese intero» è stato ieri il governatore della Banca d'Italia e futuro presidente della Bce. Mario Draghi è infatti intervenuto al seminario dell'intergruppo parlamentare per la sussidiarietà che si è svolto a Sarteano (Siena) e ha spiegato che per l'Italia «la priorità assoluta è uscire dalla stagnazione, riavviando lo sviluppo con misure strutturali».
«La crescita economica non può fare a meno dei giovani nè i giovani della crescita» ha sottolineato il numero uno di Palazzo Koch. «In passato, soprattutto nella lunga fase di espansione che ha caratterizzato le economie avanzate dopo la guerra, questo duplice nesso si manifestava chiaramente nello sviluppo demografico e della produttività, nel progresso tecnico, nelle caratteristiche del capitale umano adatte a sostenere lo sviluppo». Invece oggi non è più così: «specialmente nel nostro Paese le prospettive di reddito delle nuove generazioni sono più che mai incerte; il loro contributo alla crescita è frenato in vario modo dai nodi strutturali che strozzano la nostra economia».
Poi, il governatore ha spiegato che il problema non è solo di tipo distributivo: «le difficoltà incontrate dalle giovani generazioni devono preoccuparci. Non solo per motivi di equità – ha detto Draghi –. Vi è un problema di inutilizzo del loro patrimonio di conoscenza, della loro capacità di innovazione. La bassa crescita dell'Italia negli ultimi anni è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capacità innovativa, la loro conoscenza, il loro entusiasmo».
Non basta. La crisi che dal 2008 ha colpito l'economia mondiale, ha ricordato Draghi, ha acuito drammaticamente il problema perchè i giovani sono coloro che ne subiscono i contraccolpi più forti: nella Ue a 15, infatti, tra il 2004 e il 2007 il tasso di disoccupazione è aumentato di 5 punti nella classe di età compresa fra i 15 e i 24 anni, di 3,6 nella classe 25-34 e di 1,8 punti nella classe compresa tra i 35 e 64 anni. Il profilo di incremento è lo stesso per tutti i paesi ad eccezione della Germania ma «in Italia come in Spagna esso è più accentuato».
La caduta dell'occupazione avvenuta durante la crisi, ha poi ricordato il governatore «ha interessato in prevalenza i figli conviventi e quindi i nuclei familiari plurireddito». Come risultato, le famiglie con figli si sono impoverite più delle altre: «Secondo stime effettuate dalla Banca d'Italia, tra il 2007 e il 2010 il reddito equivalente, ovvero corretto per tenere conto della diversa composizione familiare, sarebbe diminuito in media dell'1,5 per cento - ha proseguito Draghi - Il calo sarebbe stato più forte, oltre il 3 per cento, tra i nuclei con capofamiglia di età compresa tra i 40 e i 64 anni, proprio per le minori entrate degli altri componenti». «All'opposto - ha aggiunto - sarebbe aumentato il reddito dei nuclei con capofamiglia di 65 e più anni. Nel complesso, la condizione di povertà economica delle famiglie con figli si è aggravata». Draghi ha poi ricordato che a contribuire al fatto che i giovani non escano di casa al momento giusto,(la quota di giovani fa i 25 e i 34 anni che vivono con i genitori è salita al 14,2 per cento) al di là degli effetti della crisi, ci sono anche «molteplici fattori di lunga durata: é un carattere culturale dalle radici profonde, poco sensibile ai cambiamenti economici, politici e sociali, che sembra persistere anche per le seconde generazioni di connazionali emigrati in contesti sociali assai diversi come gli stati uniti». Ma, ha aggiunto, «vi contribuiscono anche fattori economici». Infine, in una società che non cresce tendono tendono ad aumentare le disuguaglianze nelle condizioni di partenza: «Il legame tra i redditi da lavoro dei genitori e quelli dei figli è in Italia tra i più stretti nel confronto internazionale, più vicino ai valori elevati osservati negli Stati Uniti e nel Regno Unito che a quelli stimati per i paesi nordici e dell'Europa continentale . Il successo professionale di un giovane– ha concluso– appare dipendere più dal luogo di nascita e dalle caratteristiche dei genitori che dalle caratteristiche personali come il titolo di studio conseguito».